SARA NEI MIEI OCCHI

 

E così un giorno a settembre, mi sono bevuta un caffè e poi un altro e un altro ancora insieme ad Elena, una donna che ama le parole

 

penso che si dica che sia una scrittrice, ma a me piace venderla come una persona che guarda la vita con amore e attenzione e vuole fissarla

 

come la lacca sopra un disegno a matita ne fissa ogni particolare per non perderlo, per farlo vedere agli altri intatto

 

ecco, da quel pomeriggio di settembre son venute fuori queste parole qui:

 

in una giornata di cielo grigio

 

 

i primi freddi di fine settembre in cima alle colline romagnole, incontro Sara, tra una tazza di caffè lungo e biscotti dai sapori antichi.
Ho chiesto io di poterla incontrare, vorrei scoprire qualcosa del suo cammino, i passi che l’hanno portata qui, a queste altezze, lontana dalla città, immersa nel verde, tra disegni, tatuaggi, cura dei dettagli e una natura silenziosamente avvolgente.

 

Si aprono stanze, pagine di racconti.
Quella di Sara è una storia fatta di particolari descrittivi, che presagiscono altro, che fanno intuire qualcosa di quello che accadrà dopo.
Perché, come mi confida lei stessa, di primo acchito, in prima battuta non ha mai capito nulla, né di se stessa né di ciò che era bene scegliere: ad indicarle la via sono sempre state persone accanto a lei o eventi attraverso piccoli segnali. Particolari, appunto.

 

ricordi d’infanzia

 

 

Mi racconta dei suoi giochi di bambina.
Non mi aspettavo alcuna ballerina, parrucchiera o scienziata ma…la nomade sinceramente mi ha colto di sorpresa! 

 

Giocava a fare traslochi, costruiva tende che spostava in qua e in là, vicino a carretti in cui preparava da mangiare per immaginari avventori.
E questo aspetto tornerà nella sua vita, come vedremo, senza svelarvi troppo…

 

Quando il suo animo non era impegnato a girovagare per immaginari mondi, portandosi appresso tenda e carretto, lo era la sua immaginazione.

 

Le lunghe giornate passate nella libreria hanno influenzato certamente il suo stile. Non le ho chiesto quale fosse stato il suo libro preferito ma osservando i suoi disegni, l’attenzione ai dettagli, la bellezza mai fine a se stessa che si respira negli angoli della sua casa e del Salottino Rock (il suo studio tattoo) credo che Alice  (e il Paese delle Meraviglie) debba esser passato tra le sue mani e nel suo cuore.

 

L’ultimo ricordo che mi lascia stringendosi un po’ nel maglioncino (fuori in giardino inizia a fare freddo) è quello dei pomeriggi in compagnia di un pittore amico di famiglia. I colori, le linee che prendono forme e vita affascinavano i suoi occhi e pensieri.

 

Ognuno di questi giochi, passaggi, pensieri ha certamente contribuito a formare la narratrice che è ora

 

Perché Sara racconta storie, le fa emergere, affiorare sulla pelle, attraverso linee mai violente, colori ricchi di sfumature, impressioni di emozioni.

 

non esiste un’unica strada

 

 

 “Il mio obiettivo è uscire dalle convenzioni per trovare la mia strada, la mia vocazione, ciò cui sono chiamata. Credo fermamente vi sia un modo, una via per cui ognuno di noi è destinato a un’azione, una realtà e che come può compierla quella tale persona, renderla lui, non può nessun altro”.

 

Dell’unicità di ogni essere vivente Sara è fermamente convinta.

 

E a questa unicità collega la necessità di trovare strade originali, non preimpostate per far fiorire talenti personali, caratteristiche originali che ognuno di sé ha.

 

A rispettare le sensate aspettative su di lei ci ha anche provato, a suo tempo, da giovanissima. Scuole superiori e poi Università, come da copione.
Ma la vita è terribilmente creativa nei suoi percorsi e ama mischiare le carte.
Capita in uno studio di tattoo e piercing per il desiderio di farsene uno; lì cercavano una segretaria part time e… non ci pensa due volte.
La strada è oramai intrapresa.
L’apprendistato sarà lungo e old style. Passano davvero anni prima che Sara decida di fare un tatuaggio su un’altra persona (e sarà su suo marito) e che apra uno studio tutto suo.

 

 

Il vero punto di rottura per lei è stato, mi racconta, una conferenza sul tatuaggio nel novembre del 2014 a Venezia, dove erano intervenuti gli allora migliori 8 tatuatori al mondo.
Ricorda benissimo la data, la location, tutto. Mi mostra l’attestato di partecipazione.

 

Ma ancora una volta mi stupisce. 

 

A colpirla, in quei giorni, non sono tanto i guru del tattoo quanto le 300 persone accorse lì, assieme a lei, ad ascoltarli.
Già dai primi momenti le capita di captare qualche dialogo, dettagli, particolari, frammenti di conversazione e si accorge che il suo mondo strano, che teneva ben a freno e tirato per le redini è assolutamente condiviso dalla grande maggioranza dei presenti.
Il preferire certe cose ad altre molto più convenzionali, la volontà di voler viaggiare e spostarsi sempre, di avere le migliori idee di notte mentre gli altri dormono, sono tratti comuni a chi le stava accanto in quell’aula.

 

Per lei paradossalmente è stato più importante il confronto durante la pausa pranzo, l’assorbire le storie di chi era venuto lì -come lei- per imparare che non l’ascolto di chi era lì per insegnare o comunque testimoniare un modo diverso di tatuare.

 

Quella conferenza segna il suo stile: arriva l’avant-garde 

 

cosa significa tatuare? 

 

 

Si stringe ancora un po’ nel maglione ma non per il freddo. Si ferma a pensare. Sembra un’impulsiva sognatrice questa ragazza, che fa scelte bucoliche, divora libri, ama l’arte, ascolta musica (“che abbia senso”) lascia crescere i suoi folti ricci decisa a non ricorrere a tinte quando si presenterà l’appuntamento con l’argento.

 

Ma è riflessiva e dosa bene pensieri e parole.

 

“Significa esprimere l’altro. Farlo venire fuori. Far emergere quello che è o che gli sta accadendo. E dargli strumenti per affrontare un cambiamento, perché spesso ci si tatua qualcosa di cui non sappiamo ancora il profondo significato. Questo emergerà piano piano”

 

Il problema per Sara non è mai il cliente.
Il cliente rappresenta una storia, un’esigenza, un bisogno che va compreso, messo su carta e poi su pelle. Ascoltato, osservato.
Il problema è il tatuatore, “che non riconosce la sacralità del suo lavoro”. Ha usato esattamente queste parole. Sacralità. Ma non confondiamoci. Il termine è usato nel senso di un profondo rispetto per la persona che si ha davanti e che si rivolge a te per un tatuaggio.

 

Il punto non è far emergere la propria arte di tatuatore, far capire quanto si è bravi. Così si finisce irrimediabilmente per proporre qualcosa di proprio e dire all’altro: “scegli, quale vuoi? Quale tra questi MIEI disegni?”.
Non c’è espressione della persona ma solo consumismo, realizzazione in serie, produzioni di massa.

 

Se il tatuaggio è una rivoluzione personale, dove chi sceglie di farselo intende segnare un punto importante nella propria vita, un segno profondo, Sara è la rivoluzione del tatuaggio.
Non guarda alla sua opera quanto piuttosto a chi ha davanti e per quella persona mette a sua disposizione tutte la sua arte, le sue conoscenze in fatto di simbologia, la sua esperienza.

 

la bellezza salverà il mondo

 

 

Sara è certamente d’accordo con Dostoevski su questo punto. La bellezza ferisce ma allo stesso tempo cura, salva.
Proprio come i suoi aghi da tatuatrice.
Non credo sia un caso che sempre più spesso tra i suoi clienti vi siano storie di ferite grandi da rimarginare, dolori, traumi subiti che si vogliono raccontare o per affrontare i quali ci si vuole incidere sulla pelle qualcosa che resista, che dia forza.

 

Tra i tanti racconti, appena accennati, uno mi colpisce. Chiedo di più. Chiedo se per questo può approfondire qualcosa, qualche dettaglio.
Sono fortunata perché si tratta di una storia che ha portato, con la protagonista della stessa, ad un convegno.

 

Mi racconta di una ragazza che da bambina aveva subito un intervento impegnativo ad una gamba con l’inserimento di lastre esterne temporanee, fissate con chiodi che alla rimozione le avevano lasciato oltre 30 cicatrici: veri e propri solchi, nella gamba e nell’anima. Per questo motivo, pur abitando in una località marittima non era mai stata al mare se non indossando un paio di pantaloni lunghi.

 

Decide di coprire queste cicatrici, di darsi una chance, di rifiorire attraverso un tatuaggio.
Sara disegnerà per lei fiori, papaveri, lungo l’esterno della gamba. E lei vorrà proseguire anche sull’interno per arrivare, con l’inizio della bella stagione, in short sul lungomare, per la prima volta nella sua vita.

 

Nulla di eccessivo, nulla di invadente ma qualcosa che l’ha fatta sentire bella, sicura, capace di potersi mostrare, senza timori.

 

È questa la potenza del tatuaggio secondo Sara, sin dai suoi albori: trasmettere energia, dare coraggio, dare forza, ricordare a noi stessi un traguardo o un messaggio positivo.

una tatuatrice nomade

 

 

Uscita di casa a 19 anni, a 30 ha già collezionato 14 traslochi tra case e studi di tatuaggi.
Mi tornano in mente i suoi giochi da bambina: costruire tende e disfarle per spostarsi un po’ più in là…
Mi incuriosiscono i traslochi dello studio tattoo, la loro evoluzione.
Il primo studio nacque come Salottino Rock, un posto dove incontrarsi, scambiarsi opinioni, pensieri, ideali. Salottino come ambiente di confronto e arricchimento reciproco, Rock perché di rottura, innovazione, cambiamento.
Mi guardo attorno. Il grande logo tondo del Salottino Rock campeggia nella stanza, tra poltrone accoglienti, vinili appesi, libri, foto, lettere acquerellate e libri. Tantissimi libri.

 

Quel simbolo mi appare come la tenda che si porta dietro di spostamento in spostamento.
Niente di ciò che vedo attorno a me ha a che fare con l’immaginario tattoo, quello che per lo più si incontra entrando in uno studio di un tatuatore.

 

Il progetto più ambizioso lo aprì a Bertinoro.
 Un loft di 240 mq, non un semplice studio di tattoo ma anche un’associazione culturale, una scuola d’arte, un luogo di crescita in cui riversare tutta la sua creatività, le infinite idee che ogni notte arrivano a farle compagnia.
Ma al momento del massimo splendore, quando tutto gira bene sente che è già ora di cambiare e andarsene anche se non sa ancora bene dove.

 

È Glauco, marito e compagno di molte scelte a darle l’idea: lontano da tutto e tutti, sulle colline, per rispondere ad un desiderio suo di natura, di stacco netto dalla fredda produttività per tornare ad occuparsi della terra e delle risposte che può dare.

 

Ma dove? A Cesena? In un’altra regione? All’estero?
Sara afferma che nella vita non ha mai azzeccato una scelta che fosse una pianificata e fatta a tavolino: le migliori sono sempre arrivate da sole, attraverso fatti, accadimenti o altre persone.

Ed effettivamente la sua storia le dà ragione, anche in questo caso. Si ritrovano a Natale con amici a festeggiare. Uno di loro deve vendere una casa: non un rudere ma una casa nuova di pacca ma abbandonata su un cocuzzolo. È fuori discussione pensa Sara.

 

Questa proposta torna e ritorna come le sponsorizzazioni sul web, mentre Sara e Glauco valutano abitazioni su abitazioni ma nessuna pare fare al caso loro: troppo piccole, troppo strette, troppo grandi, troppo brutte…
Infine si decidono a darci un’occhiata.

 

Sara ride mentre racconta la scena: una settimana prima c’era neve oltre al ginocchio, la macchina che fatica a salire, lei che implora “lasciatemi qui, vi prego, proseguo a piedi che ho paura…”.

 

Arrivano all’abitazione in mezzo al nulla e alla natura.
E la comprano.

 

nutrirsi di passioni

 

 

Ma quando non tatua Sara che fa?
Un sacco di cose. 

 

Amante della cucina adora avere gente a cena o pranzo e utilizza questa sua capacità per raccogliere fondi per cause cui è sensibile (ricerca per la cura del tumore al seno, clown in corsia in pediatria…). Ecco che torna il carretto con i cibi da offrire cui giocava da bambina, solo in versione più “evoluta”.
Le sue cene sono curate in ogni dettaglio (ovviamente) dal segnaposto all’apparecchiatura al centrotavola, tutto per far sentire accolto l’ospite, soprattutto quando la serata o il pranzo è per fini di beneficenza.
Ama leggere, approfondire per comprendere cosa accade attorno a noi e cosa muove le azioni delle persone. Un occhio di riguardo lo ha per ciò che attiene la psicologia e la filosofia, così essenziali per comprendere chi ha davanti e per “tradurlo” in un’immagine, in linee e colori.

 

La sua biblioteca è stipata di libri che cambiano continuamente collocazione causa frequente consultazione e anche per ragioni più…stilose: abbina le copertine per colore talvolta, per argomenti altre.

 

Il disegno rimane una grandissima passione. Corsi di acquerello, di lettering, approfondimenti sui colori, sui significati…
È bellissimo parlare con lei di argomenti che abbiano a che fare con i significati: di colori, di disegni, di comportamenti, di idee…
Perché il suo punto di vista non prescinde mai dall’ascolto del tuo. Con cui magari non concorda ma che comunque prende in esame e sul quale ti fa domande, si interessa.

 

Cerca il superpotere in ogni persona, quella particolarità, talento, dettaglio, che fa di lui o lei un protagonista indispensabile in questo mondo.

 

insomma… Sara chi è?

 

 

Un’artista, una creativa, una ricercatrice di bellezza, una cuoca… certamente tutte queste cose.

 

Ma credo più di tutto sia un’anima attenta a ciò che c’è fuori, senza scudi si lascia avvicinare e toccare dalle cose che accadono per poi ritrarsi quando troppo forti. E rimanere un po’ da sola a meditarci su.
Perché chi sa raccontare è colui che ha visto molto e sentito tanto. Diversamente… cosa potrebbe raccontare, disegnare, incidere?

 

Sara si lascia ferire dalla bellezza dei racconti, per poi lasciare a sua volta tracce di questa bellezza sui corpi dei protagonisti.

 

con un ago, colore e un mondo di incredibile, attenta, creatività.

 

Elena Zondini, scrittrice